Questa settimana abbiamo ascoltato nel podcast la storia di Simona Mulazzani, illustratrice.
Simona è stata una ragazzina timida, a cui non piaceva tanto studiare, ma che disegnava tanto, e trovava nel disegno un modo di venire fuori, di esprimersi. Quella timidezza è un po' rimasta. Simona è una persona affabile, e sicuramente sensibile, dolce, leggera. Non si dà arie, e parla con un filo di voce, nonostante sia una vera maestra nel mondo dell’illustrazione, con tantissimi libri e tantissimi premi e riconoscimenti al suo attivo.
Il titolo dell’episodio dedicato a Simona è “Farsi Piccoli”.
Perché farsi piccoli? Perché Simona mi è sembrata un’anima gentile e autentica, sincera, che non si fa scudo gloriandosi dei suoi successi, ma è sempre pronta ad imparare, ammette le sue insicurezze e le sue debolezze, ad esempio parla dei suoi pianti ad ogni libro, quando non sapeva come andare avanti. È una di noi, è una persona normale, che ad ogni nuovo progetto ricomincia da capo, come non avesse mai disegnato in vita sua. Si fa piccola piccola, davanti ad ogni storia, Ma credo che questa sia un po' la sua forza. Il suo non avere certezze, il suo ricercare continuo, con difficoltà ma anche con onestà, il suo preferire la carta riciclata per i suoi schizzi, il suo minimizzare anche un grande successo come la Gabbianella e il gatto, rende lei e il suo lavoro simpatici, vicini. Mi sembra facile identificarmi con Simona, e anche il suo lavoro sembra in qualche modo caldo e familiare. Quindi il titolo “farsi piccoli” va inteso nel senso di farsi umili, vicini, semplici.
Ma ho scelto “farsi piccoli” anche perché ad un certo punto Simona, raccontandomi del suo processo creativo, mi ha descritto la fase iniziale, quando comincia a buttare giù qualche idea, qualche schizzo, e lo fa in piccolissimi riquadri, e mi dice “perché nel piccolo si riesce a vedere”. E ho capito che in questa frase, un po' buttata lí, c’è una grande verità: per me non si tratta solo di disegnare in piccolo per vedere le cose alla giusta distanza, si tratta un po' di una filosofia di vita: attraverso la lente che rimpicciolisce, la lente della semplicità, del minimo, si ha una visione della vita diversa e forse un po' più grande, si riescono a vedere verità che altrimenti si perderebbero tra mille particolari. E mi è sembrato che per un’illustratrice di libri per lettori piccoli, sia un approccio vincente.
L’idea di farsi piccoli o di essere minuscoli è un archetipo, cioè è una di quelle idee che ricorrono nei racconti e nei miti di tutta l’Umanità. Pensiamo a fiabe come Pollicino, Pollicina, e poi agli elfi e ai leprecauni. C’è Alice che diventa minuscola, c’è Jack che scala la pianta di fagioli per entrare in un mondo di giganti. C’è Ulisse con Polifemo, c’è Davide con Golia. E di solito l’esperienza di farsi piccoli è sempre associata ad una vittoria finale, o all’idea che diventare piccoli possa essere una strategia vincente. Il fatto è che nel mondo in cui viviamo questo è un concetto anacronistico, un po' fuori posto. Il nostro è un mondo affollato, in cui lottiamo per un millimetro di spazio, di visibilità, sia online che offline, in cui per essere visto devi essere grande, luccicante, vivace, devi urlare ad alta voce. Forse sbaglio, ma ho l’impressione che siamo abituati a considerare le creature più piccole come creature di serie B, secondarie, e mi sembra che valga anche per i piccoli in senso figurato: per i bambini e per tutto quello che riguarda il loro mondo, compresa la letteratura per l’infanzia.
Ti è mai capitato di essere in un bosco e sentirti piccolo? O di essere ad una festa dove non conoscevi nessuno e sentirti piccolissimo, invisibile? Essere piccoli o sentirsi piccoli, offre un punto di vista nuovo alla realtà, una nuova prospettiva, da cui puoi guardare il mondo come se non gli appartenessi, come se venissi da un altro pianeta. È cosí che forse i bambini guardano il nostro mondo, o è cosí che lo guardano le lepri, i gatti, le farfalle. Essere piccoli sembra quasi un superpotere. Mi ricordo quella scena epica della Spada nella Roccia di Disney in cui Merlino sconfigge Maga Magò in una sfida di magia, trasformandosi in un virus e costringendola a letto: prendendo le sembianze di una creatura microscopica aveva sconfitto il grande drago. L’idea che il piccolo prevalga sul grande grazie a uno sguardo diverso, meno scontato, grazie ad una vista più acuta, ad un’agilità superiore, si accompagna all’idea cristiana che gli ultimi saranno i primi, e che gli umili avranno il regno dei cieli. Significa abitare il mondo in un modo non convenzionale, e quindi già per questo più interessante. Significa avere più possibilità di trovare risposte e soluzioni perché guardi dove non guardano tutti. Farsi piccoli, tenersi a distanza, non stare al centro della scena, affrontare il mondo con umiltà, con una voce sottile, è un modo potente di raccontare la realtà, specialmente in un mondo che pretende di rappresentare tutto nel modo opposto, urlando sempre a squarciagola.
Nella chiacchierata con Simona ho annotato anche qualche altro concetto che voglio tenere a mente:
1. La piacevolezza. Questo è un aspetto della pratica creativa su cui devo ricordarmi di lavorare sempre. Simona dice che quando comincia un nuovo progetto ha bisogno di trovare la carta giusta, che può essere anche una carta riciclata, e le matite o le penne giuste, anche solo per lavorare allo schizzo. Ha bisogno di trovare quella piacevolezza, quel gusto, quella coccola, il piacere di sentire la carta sotto le mani o sotto la punta della matita, sentire le superfici, gli odori, sentire fisicamente il piacere della pratica. Questo innanzitutto perché la pratica artistica non si risolve nel lavoro finito ma nel processo. Solo quando è appagante, la pratica creativa è davvero efficace. Poi, perché la pratica è mentale ma è soprattutto un evento fisico, è qualcosa che parte dal corpo. Il gesto fa parte di quello che arriva sul foglio, anzi condiziona quello che diventa visibile. Il corpo condiziona il risultato, come lo fa il piacere del corpo: la morbidezza, la piacevolezza, o l’energia, la forza, sono vibrazioni fisiche che si trasmettono sul lavoro finale e ne fanno parte. Simona parla anche di divertimento, come fondamentale per una buona riuscita del lavoro, e di come è importante evitare la noia. Tutti elementi che ritornano anche nelle parole di altri creativi che abbiamo ascoltato e che rafforzano l’idea di quanto sia importante che la pratica sia un momento di piacere, di gioia, di felicità, di vibrazione. Quando ci rendiamo conto che tutto questo non c’è, è il momento di correggere il tiro.
2. L’istinto. Simona dice che sin da piccola non è mai stata una a cui piace teorizzare, elaborare pensieri astratti. Anche parlando di colore, dice che alla fine si lascia guidare dall’esperienza e dall’istinto. Anche in questo caso, sembra che Simona rimpicciolisca, riduca questo suo comportamento, che ci dica: “io faccio questo, nel mio piccolo, come lo so fare”. E anche qui, credo che invece non sia affatto qualcosa di scontato. Lo dice uno che riflette a lungo, razionalizza; io praticamente faccio sempre il contrario di quello che racconta Simona, eppure mi rendo conto che raggiungo il mio vero me nel disegno, quando metto da parte la testa e mi lascio andare. Per alcuni è più facile raggiungere quello stato istintivo, per altri, come me, non è affatto cosí scontato. Un’altra occasione in cui la semplicità, l’istintività, non è affatto una piccola cosa, ma un grande risultato tutt’altro che banale.
3. Assomigliarsi. Hai presente quel detto secondo cui i cani e i loro padroni si assomigliano? O, visto che oggi mi vengono in mente immagini Disney, quella scena de La carica dei 101 in cui sfila una parata di cagnoline con le loro padrone? Ecco, siamo in quella zona. Simona spesso ha pensato che i visi dei bambini che disegna somiglino un po' a lei quando era piccola. Ecco, questo è un tema su cui ho spesso riflettuto. Noi restituiamo una versione del mondo che ci somiglia. Sarà che il nostro viso è quello che guardiamo allo specchio per tutta la vita, l’immagine che conosciamo meglio, ma inevitabilmente noi diventiamo il nostro metro per misurare e quindi leggere il mondo. Lo facciamo istintivamente, come esseri umani. Quante volte vediamo illustrazioni, specialmente per bambini, in cui antropomorfizziamo gli animali, per farli somigliare a noi? È un nostro vizio, forse inevitabile, quello di leggere e valutare il mondo con la nostra unità di misura, e non mi sorprende che ognuno di noi disegni in un modo che gli somiglia. L’ho notato spesso anche seguendo un po' di corsi di illustrazione: a volte sembra proprio che il nostro modo di disegnare somigli al nostro viso, più spigoloso, più morbido, più allungato. E credo che, fortunatamente, sia inevitabile. Dico “fortunatamente” perché cerchiamo sempre uno stile unico e inconfondibile, e forse sarebbe sufficiente ritornare alla base e disegnare naturalmente, in un modo che ci somigli, per trovare dei tratti che appartengano solo a noi.
A questo punto, ci salutiamo con qualche proposta per la prossima settimana.
1. Farsi piccoli. Proviamo a fingere di essere piccoli, decidiamo noi quanto, e proviamo a descrivere o disegnare come vedremmo il mondo. Facciamo che siamo dei gatti, o delle api, o dei bambini? Come sarebbe il mondo visto da loro? Cosa sarebbe più interessante da rappresentare? Che colori useremmo? Sarebbe molto diverso dal nostro modo abituale? Che prospettiva useremmo? Proviamo ad immaginare il nostro mondo ma da un’ottica inedita e vediamo che viene fuori.
2. Cediamo agli istinti. Ti ricordi i colori a dita? Mi divertivo moltissimo con i colori a dita. Li ho usati anche da grande e ho dovuto superare la sensazione iniziale di scomodo e appiccicaticcio, ma dopo un po' mi sono trovato a divertirmi come un tempo. Credo potrebbe essere interessante liberarsi di un po' di sovrastrutture, ogni tanto. Possiamo pensare di eliminare matite, pennelli, carte costose, e prendere grandi fogli da buttare via e colorare con le mani, solo per ascoltare il nostro istinto, solo per ricordarci che c’è ancora lí da qualche parte. Vediamo che succede, prestiamo attenzione e magari prendiamo nota, se impariamo o riscopriamo qualcosa di nuovo.
3. Chi si somiglia si piglia. Facciamo caso alle somiglianze. Hai dei colleghi disegnatori? Prova a vedere se trovi delle somiglianze tra gli autori ed il loro lavoro. Puoi provare a farlo anche con le foto di grandi artisti e verificare se è vero che c’è una qualche somiglianza. E poi passa a te. Prendi uno specchio o una foto, e poi osserva attentamente i tuoi disegni. Vi somigliate? Cosa c’è che ritorna in più di un disegno e che può essere considerato uno dei tuoi tratti distintivi, uno degli elementi caratteristici del tuo lavoro? Divertiti a cercare le somiglianze o le differenze con la tua immagine.
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